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Sabato 9 settembre 2017 presso il Pontificio Oratorio San Paolo in Viale di San Paolo 12, ricominciano i corsi di skateboard per principianti, intermedi e avanzati. Istruttori qualificati CONI-FISR; pista coperta e illuminata; strutture graduabili in altezza.
Info e prenotazioni:
STREET AND TRANSITION. APPROCCIO ALLA DIDATTICA DELLO SKATEBOARD -Alcuni capitoli
Prossimamente in uscita il nuovo ebook di Paolo Pica e Alessandro Gargiullo.
Leggi alcuni capitoli
Da come si monta sulla tavola al backside 50-50 grind in micro half pipe ramp, 60 trick eseguiti in street e micro rampa corredati da oltre 350 illustrazioni e suddivisi in piani di lezione: dalla tecnica esecutiva della manovra agli esercizi di riscaldamento, dalle progressioni didattiche specifiche per l’apprendimento del trick all’analisi degli errori. Un libro che, con qualche richiamo allo “street puro”, torna ad esplorare i principali trick di base dello skateboard nelle discipline dello street e del transition dal punto di vista della didattica, pensato per tutti coloro che insegnano o che montano sulla tavola per la prima volta.
NASCE SKATEBOARDING NO LIMITS
Skating in the Dark diventa il punto di partenza di SKATEBOARDING NO LIMITS, un progetto di ricerca della Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio per l’insegnamento dello skateboard alle persone diversamente abili con il Metodo Full Time.
GARGY 90’s CRONICLES
A metà degli anni 90 lo skateboarding stava subendo l’ennesima mutazione stilistica….o meglio alcune company stavano dando l’occasione a certi skater di mostrare un altro approccio allo street e alla transizione piuttosto che pompare sempre gli stessi professionisti. Erano tempi di continua evoluzione e noi assorbivamo tutto come delle spugne, stavamo maturando un gusto sempre più personale, ma solo pochi video riuscivano a trasmetterti con efficacia questa lezione. Pubblicazioni come “Welcome to hell” della Toy Machine o “Estern explousure” (leggendaria opera della est coast Americana) erano diventati un punto di riferimento, un nuovo modello che avrebbe cambiato per sempre la nostra visione dello skate a Roma. Lo skateboarding ha sempre messo al centro la creatività personale e mettere in discussione il proprio modo di skateare era lo stimolo migliore. Innanzitutto, l’idea di andare a skateare sempre nei soliti e tranquilli spot doveva cambiare! Roma è sempre stata una città collassata dal traffico e dall’inadeguatezza dei mezzi pubblici, questo ci aveva spinto a preferire location come l’Eur, il Foro Italico e l’università vicino la stazione Termini. Ogni tanto avevamo girato anche per il centro, assaggiato i sanpietrini e respirato un po’ di smog; molte “nicchie segrete” erano state scoperte, spot con il bel muretto, con la bella rincorsa o il bell’atterraggio… adesso però alcuni di noi avevano maturato la necessità di interpretare la città in un modo molto più randagio e fantasioso…un nuovo test che saggiava la nostra attitudine, una prova necessaria per combattere la pigrizia da solito spot che ci stava troppo limitando.
Così la sera capitò sempre più frequentemente di riunirci a Piazza Venezia o alla stazione centrale (all’epoca appena ristrutturata e più skateabile) e cominciare a scandagliare il centro e dintorni in tutte le direzioni…la parola d’ordine era “essere più street!”
Io, Ale, Nico, Papik, Simone “er Faretto”, Fausto, Andrea, Josef e Gian Simone, Gaspare, Mirai, Skillo, Franzy, Diego, Eduardo – meglio conosciuto come “er brasile”- e Jonathan ci lanciavamo come schegge impazzite per il discesone di via Veneto…eravamo troppi, i vigili non potevano placcarci tutti e la polizia, oltre ad azionare la sirena per intimorirci, poteva fare solo nervose sgommate per disperdere quello sciame….e come lo fermi uno sciame? Ogni tanto però qualcuno veniva catturato e cazziato, la definizione di “gioco della morte” non l’abbiamo inventata noi, era solo una frase ad effetto che i tutori dell’ordine pronunciavano di continuo…questo la dice lunga su come a metà degli anni ’90 veniva valutato un ragazzo che faceva skate a Roma. Il tour si articolava da piazza Venezia a teatro Marcello, dalla Anagrafe di stato al ghetto Ebraico, dalle corsie preferenziali degli autobus alle sassaiole antiche dei vicoletti…dalla stazione Termini a via Nazionale e da via del Corso a tutte le sue strade parallele fino a sbucare davanti al Panteon. Il Centro storico era nostro!!
Papik e Andrea si attaccavano dietro gli autobus e a volte – se erano presi da un raptus casinaro – sganciavano il grande portellone posteriore lasciando il bus a motore scoperto…altre volte si facevano trasportare finché le salite non erano finite, poi si sganciavano e ricominciava la maratona street!…nel frattempo i gemiti animaleschi di Gaspare echeggiavano a galleria Colonna, mentre Skillo slaidava il grezzo asfalto con la delicatezza di un Grizly!
Jonathan raidava come un forsennato, lui è sempre stato famoso per essere “il segugio degli spot” e avere la capacità di adeguarsi ed interpretare qualsiasi variazione delle forme urbane!
Ale era forte come l’acciaio e si faceva olloni e grindoni dappertutto elevando il livello della strettata ai video che tanto ci stavano influenzando!
Io mi sparavo le mie solite sessions a 200 km all’ora, capendo a mie spese che skateare non voleva dire solamente trick ma significava innanzitutto guidare la tavola ad alte velocità con le macchine ad un palmo dal naso, operando continui “alleggerimenti” per non inchiodare su grate taglienti come lame o sul brecciolino che ti infettava le ferite per giorni!
Purtroppo non esistono molti filmati delle nostre scorribande in quegli anni, del resto immaginiamoci la difficoltà nel filmare dieci o quindici persone che si muovono alla rinfusa per le strade del centro pronte a schizzare se arriva la polizia. Immaginatevi le continue problematiche: vibrazioni, inquadrature mozzate e scarsità di luce. Del resto nel ’96-’97 c’era ancora l’analogico con immagini in quattro terzi granulose e sfocate!
Un super lavoro per Alessio “er Marine” che non aveva solo il taglio di capelli e i Cargo ma anche lo spirito…filmare lo skateboarding è sempre stato impegnativo come un percorso di guerra ahahahaah!!
In quegli anni il Foro Italico era la nostra meta più frequentata nelle ore diurne ma adesso ci organizzavamo per rimanere fino a sera, aspettavamo che il traffico diminuisse e andavamo a cercare nuovi spot in centro. A volte rimanevamo un po’ delusi da quello che trovavamo, del resto Roma è una città antica, densamente popolata e invasa dalle macchine, ma questo ci costringeva ad usare la nostra fantasia spingendoci verso nuove sperimentazioni! Qualcosa di più concreto sarebbe arrivato con il Giubileo nel 2000, quando la capitale avrebbe subito una parziale ristrutturazione e modernizzazione.
Un altro evento culto dell’ underground skating Romano era senz’altro l’occupazione al liceo Virgilio. Ogni Novembre-Dicembre una delle più grandi scuole del centro diveniva teatro di contestazioni politiche e forzate auto gestioni che potevano durare anche delle settimane…avevamo visto come la mitica W.B.N.E (crew di skater romani nata nei tardi anni 80) era stata in grado di raccontare attraverso il filming le gesta degli skater in quel contesto…e c’eravamo gasati a bestia!
Da quel che mi ricordo, si narravano leggende sui trick di Ale, Lele e Jonathan in quegli stretti corridoi tramutati in una trincea di banchi ammucchiati, con l’aula magna all’ultimo piano che era diventata una delle stanze più skateate perché il basamento della grande cattedra era di marmo e i nostri truck (carrelli in acciaio e alluminio dove sono agganciate le ruote dello skate) scorrevano una meraviglia!
Tramutare una scuola occupata in uno skatespot era un rito anarchico/metropolitano imperdibile che mi faceva venire i brividi dall’emozione…faceva tutto parte di quel percorso underground che avrebbe caratterizzato tutti i nostri anni di skate, trovare stimoli e creatività dove tutti vedevano degrado, skateare l’impossibile e renderlo possibile!
Il Virgilio occupato per noi era solo un nuovo spot al coperto e con il riscaldamento, come fosse un cantiere aperto in costruzione dove ci affacciavamo per vedere se c’era qualcosa di skateabile oppure no…
Nella seconda metà del ’95 ci capitò di prendere parte ad un paio di trasmissioni televisive: una andata in onda su Telemontecarlo agli studi di Saxa Rubra e un’altra al colle Palatino per Canale 5. Ora eravamo oggetto di studio da parte di sociologi e opinionisti e venivamo messi nel calderone “street-pircing-tatuaggi-graffiti-pantaloni calati e larghi-cappelli rigirati-musica alternativa- generico e superficiale disprezzo per l’autorità”. C’era un nuovo fenomeno di strada chiamato Rollerblade che da li a poco avrebbe avuto un boom analogo a quello dello skate negli anni 88/91 e ci chiedevano sempre cosa ne pensassimo…il silenzio in studio calò come una ghigliottina quando Fab se ne uscì con una battuta cruda, ma in parte veritiera: << sono degli skater falliti!>>.
Mettetevi nei nostri panni: vedi un tizio che usa dei pattini ma che copia l’approccio street dello skate, fa un sacco di manovre scimmiottando i nostri trick…però i pattini sono attaccati ai piedi!! non vale, è troppo facile e pure brutto da vedere!! In quegli anni tutti noi abbiamo discriminato un sacco i roller, addirittura ci furono pure un paio di risse al Foro Italico; poi però, quando la moda finì e anche loro cominciarono a decimarsi, i pochi sopravvissuti furono conosciuti meglio e rivalutati come persone…alla fine anche loro erano diventati una piccolissima comunità e come noi erano passati in pochi anni dalle stelle alle stalle dovendo affrontare ogni giorno il pregiudizio e l’ignoranza della cultura Romana.
Articolo a cura di:
Alessandro Gargiullo
SKATING IN THE DARK: INIZIA IL CORSO DI SKATEBOARD PER DISABILI VISIVI
Skating in the dark è una bellissima avventura che sta entrando nella sua fase finale, ovvero la sperimentazione su un gruppo di ragazzi non vedenti della metodologia adottata con Moutie, “l’allievo 0”. Dopo una breve introduzione sulla nascita e sull’evoluzione della disciplina, il corso è entrato nel vivo con la conoscenza dello skateboard attraverso l’uso del tatto e la descrizione fatta dagli insegnanti, dove gli allievi – esplorando con le mani sia la parte superiore che quella inferiore dello skateboard – non hanno avuto alcun problema a identificarne tutte le parti, comprese le differenze esistenti fra il nose e il tail.
Dopo aver identificato lo stance di ognuno, si è passati all’utilizzo delle tavole propedeutiche senza truck per assumere in tutta sicurezza e semplicità la posizione base.
In questa prima fase Moutiè, che conosceva la maggiorparte dei ragazzi, ci ha affiancato nelle spiegazioni e nelle correzioni.
L’accuratezza delle spiegazioni : << per salire correttamente sulla tavola il piede dev’essere posizionato centralmente con la punta orientata in direzione di marcia >> e la precisione delle correzioni fatte da Moutie ci hanno lasciato a bocca aperta…sembrava che a farle fosse un istruttore qualificato con anni di esperienza sulle spalle! Date le circostanze abbiamo optato per un fuori programma, lasciando che Moutie ci affiancasse nel ruolo di aspirante istruttore…una sperimentazione nella sperimentazione!
Il lavoro è proseguito sulle tavole a ruote bloccate dove i vari ragazzi, guidati e assistiti dagli insegnanti, hanno sperimentato nuovamente tutta la sequenza di movimenti necessari a: salire sullo skateboard; mettersi in posizione base; scendere. In questo frangente Moutie ha svolto il ruolo di dimostratore guidando verbalmente l’allievo che lo toccava nella percezione tattile della corretta posizione delle varie parti del corpo.
Nell’ultima parte della lezione i ragazzi skateboard ai piedi, con le assistenze degli insegnanti, hanno approcciato sia all’andatura in posizione base che alle curve frontside e backside in conduzione.
Che dire a fine lezione…
Grazie di cuore a tutti coloro che ci hanno dato fiducia credendo in questo progetto, la vostra partecipazione, i vostri sorrisi e il vostro sostegno sono per noi la più grossa soddisfazione!
A cura di:
Alessandro Gargiullo
Paolo Pica
SKATEBOARD E DISABILITÀ VISIVA: LA PERCEZIONE DEL TRICK ATTRAVERSO IL CONTATTO DELLE MANI E LA SIMULAZIONE DEL MOVIMENTO
Nella pratica dello skateboard, come in altre discipline sportive, ogni volta che ci accingiamo a spiegare una manovra o a correggerla, oltre al linguaggio verbale utilizziamo anche quello visivo. A tutti sarà capitato di mimare i movimenti di un trick per dare maggior incisività alla spiegazione verbale o di eseguirlo per dimostrarne la corretta esecuzione. Il ricorso continuo che facciamo alla vista passa da predominante a inesistente se consideriamo l’insegnamento dello skateboard a un disabile visivo, dove l’aspetto fondamentale consiste proprio nella trasposizione degli aspetti visivi della spiegazione, della correzione o della dimostrazione di un trick in un linguaggio a lui accessibile. Questo passaggio dal visivo ad altre forme di linguaggio diventa meno complicato di quel che sembra se si fa ricorso: a un accurato linguaggio verbale; alle sensazioni tattili, cinestesiche e propriocettive; al movimento guidato; alla simulazione del trick sulle tavole propedeutiche.
La descrizione verbale del trick ricopre un aspetto fondamentale attraverso il quale delineare sia il tipo di manovra sia i movimenti che le diverse parti del corpo compiono durante la sua esecuzione. Dunque, la prima cosa da fare è incasellare il trick in una categoria di manovre ben precisa e descriverne genericamente le fasi che lo caratterizzano così da fornire al nostro allievo, ancor prima di montare sullo skateboard, un’indicazione generale. Da questo momento in poi, nelle fasi che seguono, le informazioni fornite verbalmente dovranno essere molto più dettagliate e associate alla simulazione del movimento, alla percezione tattile dello stesso ecc. Per solito, in relazione alla sequenzialità delle manovre che di volta in volta insegnate, l’apprendimento di un nuovo trick segue un andamento preciso che spesso viene concordato con l’allievo. Fermo restando che il punto di partenza del lavoro percettivo si deve adattare alle necessità del disabile visivo, ed essere eventualmente concordato con quest’ultimo, riportiamo come esempio la procedura che abbiamo seguito con Moutie (ritratto in foto) nell’apprendimento del Manual dove lui ha preferito un tipo di spiegazione che andasse dall’alto verso il basso, ovvero che procedesse dalla parte superiore del corpo verso quella inferiore.
All’inizio della lezione, gli abbiamo descritto la manovra da apprendere presentandola come quel trick di scorrimento che consente alla tavola di spostarsi in direzione di marcia scorrendo in equilibrio sulle ruote posteriori e che si compone di quattro fasi: lo scorrimento in andatura normale dove il piede anteriore arretra leggermente verso il centro della tavola; l’azione di distacco delle ruote anteriori dal suolo; il manual; la fase di ritorno delle ruote a terra.
Successivamente abbiamo iniziato il lavoro di percezione tattile facendogli porre le mani sulle braccia dell’insegnante che eseguiva manual sopra una tavola propedeutica a ruote bloccate. In questo fase, la spiegazione verbale deve essere precisa così da renderla congruente con la percezione tattile delle mani che esplorano progressivamente la parte superiore del corpo. L’accento va posto sul fatto che:
Il busto si mantenga perpendicolare al suolo con le braccia estese in fuori secondo l’asse longitudinale mediano della tavola e che la conservazione dell’equilibrio in fase di scorrimento avvenga attraverso delle azioni successive di flessoestensione dell’arto anteriore, così che questo si fletta se il nose della tavola tende a scendere o, al contrario, si estenda se tende a salire.
Poi siamo passati alla percezione dei movimenti del bacino per fargli comprendere il corretto decentramento del peso in direzione del tail così da posizionare il baricentro sull’asse del truck posteriore e permettere, congiuntamente all’azione degli arti inferiori, il distacco delle ruote anteriori dal suolo.
Procedendo verso il basso siamo passati alla percezione tattile dei movimenti degli arti inferiori dove, ribadendo il concetto che il bilanciamento della tavola per il mantenimento dell’equilibrio è svolto dagli arti inferiori, gli abbiamo spiegato che le ruote anteriori riprendano contatto con il suolo non attraverso uno spostamento in direzione del nose del bacino o delle braccia e del busto ma grazie all’estensione dell’arto anteriore associata alla flessione di quello posteriore.
La terza fase della lezione prevedeva una simulazione del manual fatta da Moutie con le mani poggiate sopra una tavola propedeutica a ruote bloccate, così da consentirgli di sperimentare con le braccia i movimenti del manual e i possibili errori.
Alla simulazione del manual con gli arti superiori ne è seguita una fatta con gli arti inferiori che Moutie ha svolto stando seduto sopra una panchina. Durante quest’ultima simulazione l’accento è stato posto sull’azione equilibratrice della gamba anteriore. Trovato il punto di equilibrio, ogni volta che la mano dell’istruttore – posta sul nose – tendeva a sbilanciare la tavola spingendola verso l’alto o il basso, Moutiè doveva controbilanciarla estendendo o flettendo la gamba anteriore assecondando con quella posteriore i movimenti del tail.
La guida del movimento svolta dall’insegnante sull’allievo che è posto sopra una tavola propedeutica a ruote bloccate rappresenta il passaggio successivo. In questo caso, l’istruttore che è posto dorsalmente all’allievo, ne guida lo spostamento del peso sull’asse del truck posteriore.
Se la simulazione del manual avviene correttamente si può passare all’esecuzione del manual in completa autonomia sopra una tavola propedeutica a ruote bloccate. Viceversa, se c’è la tendenza dell’allievo a inclinare il busto in direzione del tail per staccare le ruote da terra e di controllare il bilanciamento dello skateboard muovendo le spalle invece dell’arto anteriore, e consigliabile passare all’assistenza frontale, sorreggendo l’allievo per gli avambracci così da fargli percepire il corretto il decentramento del peso e la giusta posizione del busto attraverso la pressione che esercita sulle braccia dell’insegnante.
Il manual sopra una tavola propedeutica a ruote bloccate è l’ultimo passaggio dove si pone la massima attenzione alle sensazioni cinestesiche del trick e alla percezione dell’equilibrio.
Da questo punto in poi si può passare all’insegnamento del trick sopra uno skateboard con la doppia assistenza degli insegnanti (uno posto frontalmente come descritto sopra e l’altro alle spalle dell’allievo che lo sorregge per i fianchi) fino ad arrivare, diminuendo progressivamente le assistenze, al manual eseguito con l’insegnante a fianco che non ne effettua alcuna, direzionati da un emettitore acustico o dai comandi vocali di un secondo insegnante.
La progressione che abbiamo presentato utilizzando una serie di canali comunicativi diversi da quello visivo, va adottata per la spiegazione di ogni trick. Questa poi, in relazione alla successione delle manovre insegnate in precedenza, può essere più veloce poiché presenta meno fasi di apprendimento.
Va precisato inoltre che quanto finora visto si riferisce solo ad alcuni aspetti della parte centrale o tecnica della lezione e non agli esercizi di riscaldamento generici e specifici che la precedono o a quelli di defaticamento che chiudono la lezione.
A cura di:
Alessandro Gargiullo
Paolo Pica
GRAFFIANTI SEGNI DI PERSONALITÀ NEL GRIGIORE DELLE CITTÀ: LE “TAG” DELLO SKATEBOARD
Tutti lasciamo delle tracce distintive della nostra presenza sia nell’ambiente che negli altri esseri umani: lo sviluppo tecnologico e l’architettura così come è la pittura e la scultura modificano l’ambiente o vi permangono mentre il nostro modo di pensare, di muoverci, di esprimerci e di abbigliarci s’imprimono negli altri. Il nostro agire è dunque una serie interminabile di tracce diversificate della nostra personalità che attestano in maniera non sempre coerente il conformarsi o il contrapporsi alle regole sociali. Quante volte nel corso della nostra vita abbiamo detto: “da grande voglio fare l’artista…non sarò mai un colletto bianco!” e poi ci siamo ritrovati come il dottor Jekyll e mister Hyde a vestire di giorno i panni dell’impiegato modello e di notte quelli del writer che sbomboletta clandestinamente un treno?
In ogni caso, sia da Jekyll che da Hyde lasciamo una nostra firma distintiva, una Tag che rappresenta noi o il gruppo di cui facciamo parte…in quel momento!
Mantenendo il termine “Tag” e scusandoci con i writer che possono vederne distorto il significato, spostiamoci dall’arte allo sport e vediamo come i segni lasciati dai praticanti ne delimitino il territorio.
Se camminando per una città scorgiamo sugli spigoli dei muretti consumati delle sbeccature, delle strisciate scure o, salendo una scalinata il corrimano ci appare rigato da mille graffi a tratti pigmentati, quei segni ci indicano con una certa approssimazione che li hanno fatti degli skater, dei pattinatori o dei biker.
Queste tracce sull’arredo urbano rappresentano le “Tag” di un gruppo perché ci dicono che quegli spazi (spot) appartengono a delle “crew” che, marcando e delimitando con dei segni il territorio, lasciano indizi del loro operato.
Che li abbiano fatti gli skater, i pattinatori o i biker, il risultato non cambia perché sono indistinguibili gli uni da gli altri.
Le Tag di ogni skater, biker o pattinatore che sia, sono prerogativa delle immagini e dei suoni!
L’immagine è solo una “Tag” parziale che ci parla di uno skater, una frazione di secondo in grado di raccontarci parte della sua identità….ma questa, pensandoci bene, non racconta solo del rider ma svela anche qualcosa di chi l’ha scattata, il fotografo. Per renderla completa c’è bisogno del suono! Ogni rider, skateando su tutto ciò che trova, utilizza le strutture urbane come fossero uno strumento musicale e, alla stregua di un percussionista, produce una propria melodia unica e irripetibile. I suoni che creiamo nell’ambiente al pari delle immagini raccontano qualcosa di noi.
Per comprendere meglio come i rumori siano un’ulteriore “Tag” usciamo dal mondo dello skateboard e spostiamoci in altri ambiti come: una pista da sci o una piscina per i tuffi e immaginiamo di stare a occhi chiusi ad ascoltarli.
Anche se non siamo del settore, dalla diversità dei suoni che vengono prodotti, dopo un po’ riusciamo a capire chi è il principiante e chi l’esperto.
Il rumore che produce sulla neve la tavola di uno snowboarder avanzato che curva, cambia radicalmente da quello di uno meno esperto che, leggendo con meno precisione la pista e non avendo le stesse capacità tecniche, fa perdere momentaneamente aderenza alla tavola portandola a derapare. Dove l’uno, sullo stesso tratto di pista, produce una sequenza ritmata di “sccciiii…sccciiii…sccciiii…”, l’altro alterna “sccciiii…grrrr… sccciiii…grrrr… sccciiii…grrrr…”
Le cose non cambiano se consideriamo i tuffi: il “pluff” sordo e cupo dell’ingresso in acqua di un tuffo ben eseguito è completamente diverso dallo “splash” dello stesso di un tuffatore meno esperto che ancora deve perfezionare traiettoria, tempi di chiusura e apertura del corpo in volo per raggiungere un ingresso in acqua ottimale.
Dunque, la vera “Tag” dello skateboard e delle discipline sportive in generale è il video, dove immagini e suoni si fondono insieme per raccontarci quella persona.
Questo però è vero solo se è lo stesso skater a dirigere le riprese e a curarne il montaggio.
Viceversa se le inquadrature e la concatenazione delle scene vengono fatti da terzi, il video che ne risulta sarà la somma della firma inconfondibile del rider e dello stile comunicativo di chi ha fatto le riprese e di chi le ha montate.
Il video con i trick di Alessandro Gargiullo che riportiamo di seguito è un esperimento a riprova di quanto appena detto, dal momento che le riprese le ha curate lui stesso ma il montaggio l’ho fatto io con il preciso scopo di sottolineare la sonorità delle diverse superfici ed esaltare la melodia dei trick: un “Gargy’s Sound” che ascoltandolo ad occhi chiusi assomiglia al frenetico “screcciare” di un dj …
Le immagini e i suoni ora esprimono anche qualcosa di mio, acquisendo un nuovo significato che veicola un messaggio completamente diverso dal video originale che li conteneva o da quelli che li comprendevano.
I frammenti di video, in questo caso, assumono la stessa plasticità delle parole che compongono un frase dove – modificandone l’ordine e la punteggiatura – esprimono messaggi diversi come in queste due:
L’innocente significato della prima frase cambia radicalmente nella seconda dove suona come l’inquietante confessione di un Serial Killer!!
Le Tag, intese come luoghi, hanno un potere evocativo trasformandosi in luoghi della memoria che suscitano, in chi li ha vissuti, diverse emozioni.
Passando in quel luogo, indipendentemente dall’aver appeso la tavola al chiodo o meno, il vederlo recintato per lavori in corso ti mette in ansia perché non sai se potrai più utilizzarlo… ma poi, siccome la speranza è l’ultima a morire, ne sei quasi contento perché forse lo costruiranno meglio di prima e tu potrai incidere nuove tracce facendogli perdere la verginità! Ma se tornando in quella zona lo spot è stato devastato da un orda di vandali, com’è accaduto allo skatepark Romano The Spot, ti piange il cuore perché insieme alle strutture hanno distrutto una parte di te.
Che siate skater o meno, siete riusciti a percepire la differenza dei suoni, gli ambienti ecc.?
E se siete skater, avete capito di quali trick si tratta, dove vengono eseguiti, su quali strutture ecc?
Adesso, dopo aver perso un po’ di tempo a capire di quale manovra si tratta e dov’è stata eseguita, pensate a quanto sarebbe più facile imparare un trick o perfezionarlo se disponessimo anche delle informazioni acustiche che lo caratterizzano o che danno conto dell’altezza, della linearità, ecc.
Ovviamente tutto questo – lungi dall’essere una provocazione – ha il semplice scopo di porre l’attenzione sugli altri sensi che, se incrementati, consentirebbe una migliore interpretazione dello spazio circostante e del nostro agire in esso.
Tornando all’aspetto artistico dello skateboarding, se con un certa fantasia avete assimilato i quattro “rumori” a delle note musicali, forse la prossima volta che entrate in uno skatepark – chiudendo gli occhi e soffermandovi ad ascoltare attentamente – sarete in grado di rintracciare la melodia che crea ogni skater. Per dare un senso compiuto a questa piccola sperimentazione, così come si fa nelle ultime pagine di un periodico di cruciverba, mettiamo i quattro video completi che daranno la soluzione alle diverse domande.
A cura di:
Alessandro Gargiullo
Paolo Pica
La musicalità dello Skate
L’insegnamento non è mai una cosa a senso unico dove l’istruttore insegna e l’allievo esegue, ma è un rapporto reciproco dove entrambi imparano l’uno dall’altro. Questo è quello che a noi è apparso ancora più evidente lavorando con i disabili visivi dove, mentre noi gli insegnavamo come andare sullo skateboard, loro ci insegnavano a comprenderlo meglio prestando molta più attenzione ai suoni che caratterizzavano i vari trick.
Per avere un’idea più chiara di quanto appena detto partiamo da un’interpretazione artistica dello skateboarding dove lo skate – alla stregua di un pennello – colora con estro e fantasia il grigiore delle città, dipingendole con un proprio tratto o – come uno strumento musicale – suona una musica ruvida e aggressiva o dolcemente felpata e poniamo l’attenzione proprio su quest’ultimo aspetto. In una società basata sull’aspetto visivo com’è quella odierna, guardando uno dei tanti video di skateboard dove spettacolarità delle immagini, musica e fragore dello skate si miscelano alla perfezione – abituati a osservare piuttosto che ad ascoltare – sicuramente non abbiamo mai considerato la musicalità dei trick. Se solo provassimo a considerare il rumore di una manovra come un suono prodotto dalla percussione di un tamburo, allora ogni skater, skateando, diverrebbe un percussionista che crea una propria musica. Uscendo ora da questa visione artistica dello skateboarding per entrare in quella puramente didattica, se ponessimo molta più attenzione agli altri sensi -piuttosto che alla vista – dopo un po’ ci accorgeremmo che il tatto, i suoni, le sensazioni muscolari del movimento ecc., riuscirebbero ugualmente a informarci dello spazio e degli oggetti che ci circondano. A questo scopo, scusandoci in anticipo per la qualità casareccia dei video, vi chiediamo di partecipare a un piccolo esperimento invitandovi ad ascoltare questi 4 suoni prodotti da 4 trick diversi.
Che siate skater o meno, siete riusciti a percepire la differenza dei suoni, gli ambienti ecc.?
E se siete skater, avete capito di quali trick si tratta, dove vengono eseguiti, su quali strutture ecc?
Adesso, dopo aver perso un po’ di tempo a capire di quale manovra si tratta e dov’è stata eseguita, pensate a quanto sarebbe più facile imparare un trick o perfezionarlo se disponessimo anche delle informazioni acustiche che lo caratterizzano o che danno conto dell’altezza, della linearità, ecc.
Ovviamente tutto questo – lungi dall’essere una provocazione – ha il semplice scopo di porre l’attenzione sugli altri sensi che, se incrementati, consentirebbe una migliore interpretazione dello spazio circostante e del nostro agire in esso.
Tornando all’aspetto artistico dello skateboarding, se con un certa fantasia avete assimilato i quattro “rumori” a delle note musicali, forse la prossima volta che entrate in uno skatepark – chiudendo gli occhi e soffermandovi ad ascoltare attentamente – sarete in grado di rintracciare la melodia che crea ogni skater. Per dare un senso compiuto a questa piccola sperimentazione, così come si fa nelle ultime pagine di un periodico di cruciverba, mettiamo i quattro video completi che daranno la soluzione alle diverse domande.
A cura di:
Alessandro Gargiullo
Paolo Pica
Underground: pregiudizio o attitudine al cambiamento?
Lo skateboarding, fin dalla sua nascita, ha sempre avuto un legame imprescindibile con il concetto di “underground”…come fosse un patto di sangue!
In effetti l’andare sulla tavola, così come fare graffiti, un certo tipo di musica, di cinema o altro, si è sempre identificato con la volontà di contrapporsi a una cultura di massa o di rappresentarne un’ alternativa.
L’essere in antitesi o in alternativa, agendo aggressivamente o distruttivamente, è solo la facciata più superficiale e comoda da tradurre, viceversa, a nostro avviso il messaggio più profondo dell’underground è rappresentato dal battere nuovi e diversi sentieri con coraggio e competenza piuttosto che ricalcarne di vecchi alzando inutili polveroni che, alla fine, ti impediscono di vedere chiaramente oltre!
Dopo più di mezzo secolo, lo skateboard mantiene ancora intatto lo spirito underground originario o è entrato a far parte della massa?…E se così fosse, il suo spirito rimarrebbe comunque inalterato?
Nelle prime decadi lo spirito creativo dello skateboard è stato un crescendo di innovazioni che, infiltrandosi profondamente nel tessuto sociale, lo ha influenzato creando nuove tendenze.
Oggi, nel ventunesimo secolo, alle Action Cam e ai Droni si contrappone il ritorno del “Penny”, delle scarpe di tela – prodotte come negli anni ’70-’80 – e delle telecamere a 4/3 con bassa definizione. Tutto ciò potrebbe essere interpretato come un rispettoso e nostalgico tributo ai tempi “d’oro”, oppure, meno ingenuamente, il più chiaro esempio di stasi e massificazione, dove lo skateboard è diventato un rodato ciclo industriale fatto di “vintage” o “artefatto modernismo”. Insomma…un cane che si morde la coda!
Però, questo uniformarsi alla massa, assume un aspetto negativo solo se si perde la capacità di guardare oltre, chiudendo la mente e smettendo di dare un nuovo senso alle cose.
Fondendo esperienze diverse si possono rimettere in moto le idee per tornare a guardare lo skateboarding con occhi diversi.
L’ingresso dello skateboard alle Olimpiadi di Tokyo 2020 potrebbe essere l’occasione per esplorare tutte quelle strade che lo skateboarding ha sempre ignorato….
Il vero spirito dell’underground non è forse quello di sperimentare nuovi sentieri alternativi a quelli già esistenti? Tutto in natura si evolve per adeguarsi al mutare dell’ambiente… chi non lo fa inevitabilmente si estingue! I mammiferi ne sono un esempio allo stesso modo dei dinosauri!
Questa metafora serve solo a evidenziare un contrasto ideologico nel mondo dello skateboard, dove a una apertura si contrappone una chiusura: da una parte il CIO che modifica i suoi regolamenti per adattarsi alle nuove realtà, aprendosi a questa disciplina, dall’altra molti skater che – radicalizzandosi nella loro visione del mondo – oppongono una cieca resistenza alla transizione dello skateboard da stile di vita a sport “canonico”, fatto di metodologia di allenamento, coach, e quant’altro. Chi è il mammifero dei due?
Questo chiudersi a riccio nel proprio modo di vedere le cose potrebbe avere una giustificazione solo se in Italia, da qui ai prossimi giochi Olimpici, non venissero date allo skateboard le stesse identiche opportunità date ad altri sport come il nuoto, la pallavolo, il basket ecc. L’aver creato dei corsi federali per istruttori di skateboard è stato il primo passo in questa direzione, ma l’importante è che a questo ne seguano altri affinché ogni città venga dotata di un numero adeguato di strutture idonee alla pratica dello skateboard e a questo venga data una maggior visibilità così da permetterne la diffusione.
Ma se tutto ciò non dovesse accadere, come dare torto a tutti quelli che ne osteggiano la trasformazione da stile di vita a conforme disciplina sportiva?
Forse la soluzione migliore sarebbe scrollarsi di dosso ogni timore e, mettendo da parte spocchia e pregiudizi, provare a cavalcare l’onda per diventare parte attiva e costruttiva del cambiamento piuttosto che rimanere statici o viverlo con indifferenza.
A cura di:
Alessandro Gargiullo
Paolo Pica
SKATEBOARDING: STILE DI VITA, SPORT, FORMA D’ARTE O GIOCO?
Parlando, usiamo di frequente i termini comunicazione e collaborazione…ma siamo sicuri di conoscerne il significato e di farne un uso corretto? Senza entrare troppo nel merito delle varie definizioni date a queste parole, possiamo identificarli come “mettere in comune” e “partecipare a un’attività comune”. In entrambe queste definizioni è evidente l’azione di condividere. Parlare o lavorare con gli altri non sempre presuppone la condivisione…spesso ci si parla addosso e si lavora con qualcuno più per i soldi che per altro!!
Io e Alessandro Gargiullo – provenendo da esperienze diverse – per poter dare vita a una proficua collaborazione nell’ambito dello skateboard ci siamo dovuti inevitabilmente confrontare sul significato dello skateboarding, ponendoci 5 semplici domande alle quali rispondere per poter trovare un punto di contatto dal quale partire:
Cos’è lo skateboarding?
Paolo Pica: “Vedo nel praticare lo skateboard, o una qualunque altra disciplina sportiva, un viaggio interiore alla scoperta di noi stessi e del mondo che ci circonda, dove in ogni gesto e azione possiamo scorgere mille domande alle quali rispondere per evolvere in persone più complete”.
Alessandro Gargiullo: “Lo skateboarding per me è lo strumento più efficace che la vita mi ha messo a disposizione per ribellarmi e combattere, in maniera costruttiva e creativa, un sistema socioeconomico ingiusto e massificatorio, una sana forma di individualismo che ha lo scopo di farmi sentire un persona e non un numero!”
Uno stile di vita o uno sport?
Paolo Pica: “Ognuno di noi, a prescindere da quello che fa o non fa, ha un proprio stile di vita!! Se vogliamo, anche il super sedentario che passa dalla sedia dell’ufficio al divano di casa e poi al letto, fa della pigrizia assoluta il personale stile di vita!!!!! Ho sempre interpretato lo skateboard come uno sport ad alta coordinazione, osservandolo più con l’occhio dell’insegnante di educazione fisica che con quello dello skater e pertanto vedo nello “Stile di vita dello skateboard” una mission che include l’insegnamento, la ricerca, la stesura di libri e quant’altro.
Alessandro Gargiullo: “Prima di rispondere a questa domanda l’osservazione che mi sento di fare è la seguente: nella società Italiana lo sport può essere praticato come stile di vita?
Fin quando sei giovane puoi dedicare molto tempo alla pratica di un’attività – agonistica o meno che sia – ma quando diventi grande e devi cominciare a lavorare, impiegando l’80% del tuo tempo, allora come la mettiamo?
Il circuito professionistico dello skate, con gli sponsor che pagano materiali, viaggi e stipendio, può rivelarsi una grande illusione poiché riguarda solo una piccola nicchia di persone nel mondo! Dunque la vita di uno skater “normale” è fatta di tanti compromessi, in Italia spesso al ribasso, che possono facilmente tramutare – non solo lo skateboarding – ma tutti gli sport in semplici hobby, fatti per apparire piuttosto che per essere, invece di un’ attività sportiva e tantomeno uno stile di vita!”
Una forma d’arte?
Paolo Pica: “Assolutamente si!! Gesto tecnico, espressività corporea e disciplina si fondono per dar vita a una personalissima interpretazione di un trick, una manovra unica come la propria calligrafia”.
Alessandro Gargiullo: “La storia dello skateboarding è stata, sin dagli inizi, molto legata al mondo della musica, della scultura, della pittura, della grafica e – successivamente – della computergrafica.
Di solito la capacità che ha il rider di inventarsi delle nuove manovre – o di eseguire quelle già esistenti con un stile estremamente personale – deriva non solo dall’abilità tecnica e dalla consapevolezza del proprio corpo, ma anche da un impulso libero da schemi fissi che è in grado di concretizzare le fantasie più sfrenate. L’elemento creativo è di fondamentale importanza soprattutto quando si gira per strada!
La continua voglia di sperimentare, che tramuta “l’impossibile in possibile” è un elemento imprescindibile se si vuole comprendere a pieno il senso dello skateboarding!
Altri elementi di paragone li ritroviamo nel video making: filmare delle manovre per poi realizzare un video strutturato e di senso compiuto è come per un musicista registrare un album musicale incidendo varie “take” sino a raggiungere il risultato voluto.
Nel mondo dello skateboard, per gli addetti ai lavori, realizzare degli scatti, immortalando la tecnica o la radicalità di un trick nella cornice dell’arredo urbano, ha rappresentato una nuova frontiera della fotografia!
L’aspetto grafico – fatto di disegni di pura fantasia o di rappresentazione delle cultura di strada – è da sempre un elemento fondamentale per avvicinare i profani al mondo dello skateboard….Anche l’occhio vuole la sua parte!
Chi da bambino non ha comprato la sua prima tavola per la grafica e non per le caratteristiche tecniche?”
Tutte e tre?
Paolo Pica: “Ovviamente si, lo skateboard e tutte e tre le cose. Quello che però non si è mai considerato in questa disciplina, o lo si è fatto solo di recente, è la didattica e la metodologia d’insegnamento.
Questo, a mio avviso, perché lo skateboard è sempre stato visto come un creativo stile di vita che si discostava dalla routine degli sport canonici. Come se imparare a suonare uno strumento musicale, scrivere un romanzo o dipingere un quadro non presupponessero delle scuole con degli insegnanti!!!!
Ovviamente questo non vuol dire che se uno ci si mette d’impegno e ha curiosità e motivazione non possa imparare da solo, ma è semplicemente un voler porre l’accento sul ruolo dell’insegnante che, studiando e conoscendo la materia, ne abbrevia i tempi di apprendimento riducendo la possibilità di errori. Credo inoltre che una crescita della bibliografia relativa a questo mondo e l’introduzione di metodologie d’insegnamento, non alterino in nessun modo lo spirito libero e creativo dello skateboarding. Uno skater che diventa istruttore e si studia libri tecnico-didattici sullo skateboard, continuerà a skateare come prima ma con delle conoscenze in più che, invece di danneggiarlo, al massimo lo arricchiscono!!!
Alessandro Gargiullo: “Nei miei innumerevoli anni di skate ho sempre cercato di vivere lo skateboarding in tutti i suoi aspetti, per me non è mai stato un semplice divertimento!
Dunque, partendo dal presupposto che non vivo in California o in altre realtà Europee e che non potrò mai praticare e vivere lo skate come avrei voluto, ho cercato di far miei non solo gli insegnamenti ma anche gli errori di altri rider più grandi ed esperti di me, arrivando a capire che se volevo continuare a lungo a fare skate dovevo evolvermi!
Questo venire a patti con me stesso ha prodotto una visione necessariamente più ampia dove le mie ragioni si fortificavano piuttosto che indebolirsi. Per me lo skateboard è la capacità di armonizzare e contestualizzare l’aspetto artistico o sportivo nella mia quotidianità: quando insegno prevale l’aspetto didattico e metodologico, quando skateo lo faccio per me stesso e quando filmo, fotografo o scrivo predomina l’aspetto artistico!”
.…. Un gioco pericoloso, fastidioso e quindi inutile?
Paolo Pica: “Vedo lo skateboard al pari di un buon libro…..fogli di carta stampata che, veicolando un messaggio, toccano l’animo del lettore arricchendolo e facendogli vedere il mondo con occhi diversi….migliori!
Alessandro Gargiullo: “Per la maggior parte delle persone che non fanno skate il vedere un tizio trascorrere ore e ore a schiantarsi sull’arredo urbano – utilizzando la tavola per scorrere, sbattere o scivolare sulle varie superfici che compongono la città – non ha assolutamente senso se non quello di produrre rumore, infastidire e vandalizzare…questo perché?
Perché, oltre a un problema meramente culturale che vede nel pallone il principale divertimento di un giovane o di un adulto, molti non riuscendo a capire le reali caratteristiche tecnico-creative e le motivazioni per le quali si è disposti anche a subire un infortunio pur di chiudere una determinata manovra. Ma in fondo le motivazioni che spingono un motociclista a girare in pista a 300 km orari, o uno sciatore che, facendo discesa libera, raggiunge i 120 km orari su “due pezzi di legno” non sono le stesse di uno skater che prova a saltare su un corrimano o da una scalinata?
Nello skateboarding non puoi barare con te stesso! Non esistono scorciatoie , facilitazioni o sconti…come dovrebbe essere la vera essenza dello sport: motivazione, umiltà, pratica e sacrificio!
Forse uno dei motivi per i quali lo skateboarding non viene capito dipende dal fatto che viviamo in una società dove tutto deve essere rapido e fico… invece, a volte, l’andare sulla tavola è l’esatto opposto!”
Partendo dalle risposte date a queste semplici domande e dall’idea che l’armonioso miscelarsi di esperienze diverse potesse essere un punto di forza e non un ostacolo, sono nati alcuni interessanti progetti tra cui il libro: Street And transiton. Approccio alla didattica dello skateboard, a quale Simone Marcelli ha dato il suo contributo. Il testo, che uscirà nel 2017 edito da Full Time Edizioni Sportive, di cui presentiamo in anteprima la copertina – esaminando 60 trick dal punto di vista dalla tecnica esecutiva delle manovre, degli esercizi di riscaldamento, delle progressioni didattiche e dell’analisi degli errori – è stato, insieme a Skate. Metodologia tecnica e propedeutica degli elementi base dello skateboard, il cardine su cui si è sviluppato il progetto per l’insegnamento dello skateboard al disabile visivo Skating in the Dark.
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